Lettera di Dayvid dai domiciliari

Cari compagne e compagni,

non sapete con quale gioia io scriva questa lettera! Il sapere delle tre giornate di lotta indette per sostenere noi imputati del 15 ottobre 2011 mi riempie il cuore di speranza.

Per anni ci siamo ripetuti lo slogan: ” la solidarieta’ e’ un arma”; rischiavamo a furia di ripeterlo di farlo diventare stantio. Per fortuna il comunicato che annunciava le tre giornate ha fatto fare un grande passo per rendere questo slogan realta’. Perche’ quand’e’ che la solidarieta’ diventa una vera e propria arma? Secondo il mio parere, ispirato a grandi pensatori rivoluzionari anarchici, la solidarieta’ e’ un arma quando non si limita ad assistere ed aiutare i compagni arrestati ma quando le azioni che li hanno portati nella tenaglia della repressione vengono ripetute senza farsi spaventare
dalla mano pesante della giustizia borghese. Per questo leggere un comunicato cosi’ deciso che indice tre giorni di mobilitazione al grido: “perche’ la nostra guerra non e’ finita” non puo’ che riempirmi di euforia e far sentire questa mia carcerazione inutile allo scopo dei miei aguzzini, fare di me e dei miei coimputati uno spauracchio.
Spero che tutti gli anticapitalisti votati all’azione diretta, alla disobbedienza e al boicottaggio partecipino agli eventi decisi perche’ e’ il momento di iniziare una nuova stagione di lotta dove gli ultimi sono alla base dei gruppi orizzontali con l’unico scopo di far valere i diritti che ormai sono alla merce’ dell’elitè economica. Dobbiamo spostare la dialettica politica dalle stanze del potere alle piazze, fabbriche, valli e quartieri, ovunque quindi ci sia uno sfruttato da
difendere e un padrone da combattere.

La citta’ e’ un ambiente putrido che cova al suo interno cio’ che lo stato e i suoi mastini non possono nè prevedere nè tantomeno contenere. La scena mondiale sta dimostrando che la rivolta urbana e’ diventata un tratto distintivo dei tempi in cui viviamo. “Basta una scintilla x accendere il corpo della rivolta” dicono il ribelli di piazza Taksim, facendoci capire l’importanza che puo’ assumere essere presenti in un determinato luogo e momento. Quando l’ordine e il disordine si fronteggiano. Nessuno puo’ sapere quando, dove e quale sara’ la scintilla ovviamente, ma essere sempre presenti e ombattivi
nei luoghi dove lo sfruttamento si consuma e’ di vitale importanza:puo’ essere la difesa di una famiglia dallo sgombero della sua casa o la difesa di una valle.

Spero che questa tre giorni sia intensa ma soprattutto sia seriamente, come auspicato dai promotori, l’inizio di un periodo dove grazie alla nostra generosita’ , fantasia e alle nostre pratiche di lotta riprenderemo il posto che ci spetta nella difesa degli sfruttati, come sempre senza se e senza ma, non x diventare protagonisti ma solo x spirito di giustizia sociale.

Prima di chiudere vorrei precisare una mia affermazione iniziale: non vorrei che qualcuno interpretasse questa lettera come una denigrazione verso coloro che si sbattono per aiutare i compagni arrestati, anzi a loro va tutta la mia stima e i miei piu’ sinceri ringraziamenti. Non posso esprimere a parole quanto anche solo una lettera di un compagno mi abbia aiutato durante il mio periodo in carcere. Da il 22 Giugno sono stato scarcerato e sottoposto ai domiciliari e per questo motivo
non posso piu’ spedire o ricevere lettere. Inutile dire che non riesco a comprendere il motivo, se non quello di farmi stare zitto e solo.

Ora salutandovi e augurandomi che questa tre giorni richiami piu’ compagni possibili voglio abbracciare tutti voi che siete in piazza con questa lettera: un piccolo gesto di disobbedienza di cui io mi prendo tutte le responsabilita’ . Non vedo l’ora di tornare in piazza assieme a voi.

Ogni giorno 15 ottobre

Dayvid Ceccarelli

Nuova Occupazione – Via Fortebraccio 52 – Pigneto

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Questa mattina è stato occupato uno stabile in Via Fortebraccio nel quartiere Pigneto. A distanza di due anni dal 15 Ottobre 2011 è stato aperto un nuovo spazio per organizzarci in vista della tre giorni dell’ottobrata romana e condividere le trame della solidarietà attiva.

Invitiamo tutti e tutte a venirci a trovare portando il sacco a pelo e tutto il necessario per far vivere un’occupazione. Porta entusiasmo e lascia il cane a casa.

Resta attivo in ogni caso il meeting point all’Università La Sapienza dalle ore 15.

15 Ottobre…lo spirito continua…

 

La Nostra Guerra Non è Finita

La Nostra Guerra Non è Finita

16 – 17 – 18 Ottobre 2013 – Roma

Tre Giornate di Lotta in Solidarietà ai Rivoltosi e alle Rivoltose del 15 Ottobre 2011

15 ottobre 2011, una data impressa nella memoria di molti.

Che ci sarebbe stata una sommossa era nell’aria e così è successo.

Quel giorno, nelle strade di Roma, migliaia di persone si sono scontrate per diverse ore con la polizia attaccando i responsabili della miseria e dell’oppressione di tutti. Sono state colpite banche, agenzie interinali, compro oro, supermercati, auto di lusso, edifici religiosi, militari e amministrativi. Se molti sono scesi in piazza con intenzioni bellicose, altri hanno disertato le fila rassegnate dell’ennesimo inutile corteo approfittando della situazione che si era creata, altri ancora, sono arrivati quando si è sparsa la voce che gli scontri erano iniziati, quando si è capito che lo spettacolo era saltato, che si faceva sul serio.

Quella che si è vista è una disponibilità a battersi che fa paura a chi comanda, così come fa paura la simpatia verso i ribelli, più diffusa di quanto gli amministratori del consenso vogliano farci credere. Infatti nonostante la condanna dei gesti da parte dei politici di ogni colore e la montagna di fango riversata dai professionisti della calunnia, abbiamo constatato quanto fosse popolare la convinzione che le ragazze e i ragazzi scesi in strada “hanno fatto bene” e che, anzi, la prossima volta “bisogna fare di più”. Una giornata di lotta memorabile il cui senso è sintetizzato da alcune delle scritte tracciate sui muri della capitale: “oggi abbiamo vissuto”, “pianta grane non tende”.

In quella giornata, chi si è battuto ha fatto debordare il corteo dagli argini della protesta sterile nella quale gli organizzatori volevano imbrigliarlo. Il carrozzone della sinistra riformista (disobbedienti, Sel, Idv, Cgil, Arci, Legambiente, Fai, Cobas, ecc…) si riproponeva di giocare le solite vecchie carte: partire da slogan altisonanti, sparati a tutto volume da colorati e pacifici sound system lungo le strade della capitale, per poi incanalare la rabbia e monetizzarla sotto forma di consenso politico e potere di contrattazione. Sono gli stessi che plaudono agli scontri quando si verificano in località distanti, possibilmente esotiche, per poi dissociarsi e calunniare quando le stesse cose avvengono a casa loro. Il 15 ottobre è finalmente emersa una prima risposta reale a trent’anni di lotta di classe a senso unico, cioè da parte dei padroni contro gli sfruttati. La fine di ogni spazio di contrattazione è diventata palpabile. “Non chiediamo il futuro, ci prendiamo il presente” era scritto sullo striscione di uno degli spezzoni più combattivi.

Il sistema capitalista che domina le nostre vite si manifesta sempre più inequivocabilmente come una guerra totale al vivente. Un’oppressione che diventa sempre più insostenibile e per questo aumentano continuamente quelli a cui la strada in salita della rivolta appare come l’unica via sensata e percorribile. L’insurrezione è il peggiore incubo di chi governa questo mondo, un incubo che può sembrare un’ipotesi lontana ma che si sta manifestando, a scadenze sempre più ravvicinate, nelle metropoli del mondo. La congiura dei rivoltosi abbraccia ogni angolo del pianeta. Nel ventunesimo secolo una metropoli può infiammarsi per un omicidio da parte della polizia, per un parco da salvare e persino per l’aumento del prezzo del biglietto dell’autobus, ma dietro le motivazioni d’occasione è facile scorgere la rivolta contro l’insostenibile degrado a cui è ridotta la vita, la voglia di farla finita, una volta per tutte, con questo vecchio mondo. Se politici, poliziotti e giornalisti si interrogano sul perché quel giorno si sia scatenata la rivolta, noi ci dovremmo domandare, invece, perché la rivolta non esploda tutti i giorni. La catastrofe è, infatti, ogni giorno in cui non accade nulla.

Ogni giorno 15 ottobre” abbiamo letto in una lettera scritta da un compagno privato della libertà in seguito a quei fatti, ed è da qui che vogliamo ripartire. Se infatti quella giornata è stata una dimostrazione di potenzialità e un’apertura di possibilità, come in ogni battaglia sono stati fatti dei prigionieri. Va detto chiaramente: queste compagne e questi compagni non vanno dimenticati, vanno difesi e vanno liberati.

E’ da qui che si vuole continuare, dal 16 ottobre di due anni dopo. Per questo ci incontreremo tutti e tutte a Roma nelle giornate del 16, 17 e 18 ottobre, per riportare la conflittualità intorno al processo del 15 nel luogo dove è nato, nelle strade di questa metropoli. Una tre giorni di lotta in solidarietà agli imputati e alle imputate di questo processo che vede schierati, tra gli altri, alcuni padroni della città nel ruolo di accusatori.

Costoro chiedono risarcimenti milionari, accusando chi si è ribellato di aver “leso l’immagine turistica della città”. Bene, rispediamo le accuse al mittente: per una volta anche la nostra città è stata all’altezza delle altre capitali europee. Il Comune di Roma, l’Ama, l’Atac, la Banca Popolare del Lazio, oltre ai ministeri della Difesa e degli Interni, si sono costituite parte civile al processo e sono fra le componenti di quella macchina del potere che ci opprime, che ci impedisce di godere della nostra vita, delle nostre relazioni, dello spazio in cui viviamo: non mancheremo di farglielo notare.

In questo processo, la procura, vuole riutilizzare il reato di devastazione e saccheggio, un’accusa che ha già comportato pesanti condanne, a cominciare dal processo per Genova 2001. Il reato di devastazione e saccheggio è un’arma spianata contro ogni lotta che assuma il carattere della concretezza. Un’arma terroristica che colpisce nel mucchio, una vera e propria rappresaglia di un potere isterico e ferito. Un’accusa paradossale perché rivolta a chi si è battuto coraggiosamente contro l’unica entità responsabile della devastazione e del saccheggio a livello planetario: il sistema capitalista. Con questa farsa giudiziaria il potere si pone l’obiettivo di chiudere un’agibilità di piazza che rischia di far esplodere la polveriera nazionale.

Inoltre gli imputati e le imputate, come nel processo No Tav, sono scelti con precisione chirurgica, toccando tutto il frammentato arcipelago antagonista. L’obiettivo è chiaro: distruggere con fermezza ogni solidarietà rivoluzionaria faticosamente costruita negli ultimi anni. Perché non basta declinare la solidarietà come un concetto passivo, come qualcosa che arriva dopo gli arresti, dopo la sfortuna. La solidarietà deve essere pensata e praticata quotidianamente come un qualcosa che si genera nella lotta. Condividere il modo in cui viviamo e praticarlo ci permette di costruire quella solidità, da cui il termine solidarietà deriva, che permetterà alle varie iniziative conflittuali e autonome di propagarsi e moltiplicarsi.

Ed ecco perché una tre giorni di lotta. Una tre giorni di iniziative diffuse e molteplici che vogliono portare la difesa nelle strade dei quartieri in cui viviamo, mettendo in campo pratiche conflittuali nella città. E’ necessario rispondere con la giusta misura agli attacchi a cui si viene sottoposti. La ripetizione della solidarietà di maniera non è sufficiente. Abbiamo pensato a una tre giorni pratica con una modalità teorica di condivisione che prova a fare un piccolo salto in avanti. Provare non solo a condividere i momenti della tre giorni ma anche la sua preparazione è un tentativo in questa direzione. Diventare solidi per essere ancora più fluidi. Essere raggiungibili e riproducibili.

La nostra guerra non è finita e le giornate come il 15 separano e dividono, solo nella misura in cui dei muri si alzano tra chi ha deciso di percepirsi nella battaglia e chi ha deciso di chiamarsene fuori. Ed è di questa guerra che nei giorni dell’ottobrata romana vorremmo percorrere un altro pezzo di strada. Questa guerra che è nelle nostre vite, nei nostri quartieri, nelle nostre città, nelle nostre montagne. Questa guerra che ora prende la forma di un processo ai nostri compagni e alle nostre compagne ma che coinvolge tutti e tutte noi in ogni istante e in ogni luogo.

Complici e Solidali

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